Il licenziamento del dirigente in caso di riorganizzazione aziendale.
(Cass. Civ., Sez. Lav., Ord. n. 1960 del 23 gennaio 2023)
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1960 del 23 gennaio 2023, è tornata ad esprimersi in merito alla libera recedibilità del datore di lavoro in materia di rapporto di lavoro dirigenziale.
Nel caso di specie, un dirigente agiva in giudizio nei confronti della società ex datrice di lavoro affinché venisse accertata la natura pseudo-dirigenziale del rapporto di lavoro e venisse dichiarata l’illegittimità del licenziamento irrogatogli perché, secondo la tesi del lavoratore, ritorsivo o, comunque, privo di giusta causa o giustificato motivo. In particolare, il dirigente lamentava che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti si fosse caratterizzato per lo svolgimento di mansioni inferiori rispetto a quelle previste per la qualifica di dirigente posto che, secondo la sua ricostruzione, il lavoratore si era limitato all’esecuzione di funzioni di coordinamento, senza aver mai goduto di autonomia operativa né aver mai esercitato alcun potere discrezionale.
La Corte d’Appello, confermando la decisione del giudice di primo grado, confermava la natura dirigenziale del rapporto di lavoro intercorso, ricordando che la qualifica di dirigente non spetta solo al soggetto che ricopra un ruolo di assoluto vertice nell’organizzazione, essendo invece sufficiente che il dipendente abbia una indubbia qualificazione professionale ed un’ampia responsabilità.
Alla luce di ciò e del regime di libera recedibilità del datore di lavoro in materia di rapporto di lavoro dirigenziale, la Corte d’Appello reputava giustificato il licenziamento del dirigente.
Avverso tale decisione il dirigente proponeva ricorso per Cassazione.
La Corte di Cassazione si esprimeva affermando che: “ Con particolare riguardo alla figura del dirigente, giova evidenziare che al medesimo, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 10, non trova applicazione la disciplina limitativa dei licenziamenti, talché la nozione di giustificatezza del recesso si discosta da quella di giustificato motivo ed è ravvisabile ove sussista l'esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario e non emerga, in base ad elementi oggettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione”.
Nel caso di specie poiché, come già rilevato nei precedenti gradi di giudizio, non vi era alcuna violazione dei canoni di buona fede e correttezza, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.
I nuovi diritti di preferenza al lavoro agile introdotti dal D.Lgs. 105/2022
Il D. Lgs. n. 105/2022, entrato in vigore il 13 agosto 2022, ha modificato l’art. 18 co. 3 bis della legge sul lavoro agile n. 81/2017 e ha contestualmente introdotto il nuovo co. 3 ter, apportando alcune novità in materia di richiesta di accesso al lavoro agile per determinati soggetti.
Il nuovo co. 3 bis dell’art. 18, nel disciplinare i criteri di preferenza per la concessione del lavoro agile, stabilisce che la priorità sia estesa alle lavoratrici e ai lavoratori con figli fino a 12 anni di età; alle lavoratrici e ai lavoratori con figli in condizioni di disabilità, senza alcun limite di età; ai lavoratori con disabilità in situazioni di gravità accertata; ai lavoratori che siano caregiver ai sensi dell’art. 1 co. 255 della legge 205/2017.
La portata innovativa della norma, dunque, risiede nel riconoscimento di un diritto di preferenza a quelle richieste di smart working formulate dai soggetti rientranti nelle categorie su indicate.
Il presupposto di operatività della norma è la stipula da parte del datore di lavoro degli accordi per l’esecuzione della prestazione in modalità agile.
Tanto detto, la sopra richiamata disposizione non prevede per il datore di lavoro alcuno specifico obbligo di concessione dello smart working a fronte di tali richieste e, anzi, la norma si limita a punire le condotte non conformi alla disciplina sopra delineata con delle mere sanzioni indirette.
In particolare, ai sensi dell’ultimo capoverso del comma 3 bis dell’art. 18, la condotta del datore di lavoro che danneggi il lavoratore che abbia fatto richiesta di smart working nell’ambito della predetta disciplina sarà considerata discriminatoria e, per l’effetto, nulla.
Inoltre, ai sensi del nuovo comma 3 ter, in caso di rifiuto, opposizione o ostacolo alla fruizione del lavoro agile, troverà applicazione una sanzione interdittiva nei confronti del datore di lavoro che non potrà conseguire la certificazione sulla parità di genere introdotta dal nuovo art. 46 bis del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, che attribuisce alle aziende che soddisfino determinati requisiti una serie di benefici tra cui il diritto ad uno sgravio contributivo previdenziale mensile, non superiore all’1% della contribuzione complessivamente dovuta dal datore di lavoro ed entro il limite massimo di 50.000 euro annui per azienda, nonché la possibilità per le aziende certificate di conseguire un punteggio premiale nei bandi per fondi nazionali e comunitari e nelle procedure di affidamento di appalti pubblici.
Licenziamento collettivo: criteri di scelta nel caso di imprese con unità produttive sparse in diversi ambiti territoriali.
(Cass. Civ., Sez. Lav., Ord. n. 3437 del 3 febbraio 2023)
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3437 del 3 febbraio 2023, si è nuovamente espressa in merito ai criteri di scelta da adottare nel caso di instaurazione di una procedura di licenziamento collettivo effettuata da imprese con unità produttive sparse in diversi ambiti territoriali.
Nel caso in esame, un lavoratore impugnava il licenziamento comminatogli nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, lamentando l’illegittimità dello stesso in ragione dell’immotivata e irragionevole limitazione della platea dei dipendenti interessati dalla procedura collettiva soltanto ad alcuni sedi aziendali.
Il Tribunale di Napoli dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava l’ex datrice di lavoro alla reintegra.
La Corte d’Appello di Napoli respingeva il reclamo proposto dal datore di lavoro e, accertata l’illegittimità del licenziamento per immotivata e irragionevole limitazione dei dipendenti coinvolti nella procedura ai soli addetti ad alcune sedi aziendali, confermava l’illegittimità del licenziamento con condanna del datore di lavoro alla reintegra del dipendente.
Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione il datore di lavoro.
La Corte di Cassazione rigettava il ricorso ricordando che “l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire avuto riguardo al complesso aziendale e la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore o sede territoriale ove ricorrano oggettive esigenze tecniche produttive, ma è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991 art. 5, comma 3, ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata”.
Nel caso in esame non vi erano elementi idonei a giustificare il ristringimento dell’ambito nel quale operare la scelta dei lavoratori da licenziare ai soli addetti ad un determinato stabilimento e, pertanto, il licenziamento doveva considerarsi illegittimo.